Il documento analizza il rigoroso orientamento della Cassazione (Ord. n. 26553/2025) in materia di inerenza delle spese di rappresentanza per i professionisti, inserendosi nel contesto delle verifiche fiscali volte a ricostruire analiticamente elementi negativi indeducibili.
Sebbene l’art. 54-septies, comma 2, TUIR ammetta la deducibilità nel limite dell’1% dei compensi (inclusi oggetti d’arte o da collezione), il mero rispetto del plafond quantitativo non garantisce la deduzione. La Suprema Corte ha sancito che non è sufficiente dimostrare l’astratta riconducibilità di un bene (es. gioielli o opere d’arte) alle spese di rappresentanza: è onere del contribuente fornire la prova rigorosa dell’effettiva destinazione a finalità promozionali, escludendo in radice l’uso personale.
Il principio di inerenza, da intendersi come giudizio qualitativo e non meramente quantitativo o di utilità, impone una correlazione diretta e documentata tra spesa e attività professionale. Ne deriva che argomentazioni difensive basate su generica “ragionevolezza” o “usi di settore”, in assenza di evidenze concrete sui destinatari degli omaggi, non soddisfano l’onere probatorio.
L’eventuale antieconomicità o incongruità della spesa rilevano non come parametri costitutivi, ma come indici sintomatici del difetto di inerenza, legittimando l’Ufficio al disconoscimento del costo se non adeguatamente supportato.